Leadership: il leader e il capo
Leadership: il leader e il capo
Leadership: il leader e il capo
Leadership: il leader e il capo
tratto da “Il libro dei Leader”, di Joseph O’Connor
Nella nostra cultura il concetto di leadership, visto da sempre
in relazione a guerre e battaglie, è stato fortemente influenzato
dalla storia militare. Basta pronunciare la parola leader e nella
mente di molti si compone l’immagine di truppe condotte alla
battaglia (quando poi, nella maggior parte dei casi, il generale al
comando era nelle retrovie a dirigere le operazioni). Questa metafora
militare tinge ancora di sé la nostra idea di leadership nel
mondo degli affari, alimentando il paradigma della dirigenza intesa
come “controllo e comando”. È un’immagine invadente. Il
mondo degli affari è stracolmo di metafore militari. I manager
parlano di “guidare le truppe alla battaglia”, “combattere la guerra
dei prezzi” o di mercato “spietato” come se l’impulso primitivo
ad affrontare la competizione bombardando riunioni dei consigli
di amministrazione, o facendo prigionieri gli agenti della concorrenza
avesse ancora un senso. Non c’è da meravigliarsi se gli agenti
tendono a soffrire la sindrome da battaglia nota come “burn out”.
Qualsiasi metafora, portata alle estreme conseguenze, diventa distruttiva
e questa ha fatto il suo tempo. “Partenariato con la clientela”,
di questo si dovrebbe sentir parlare al giorno d’oggi.
In una gerarchia rigida come può essere un esercito, il grado
consente di esercitare la leadership su chi sta “al di sotto”,
ma da sola l’autorità è insufficiente per la leadership. Non è
abbastanza sensibile al contesto.
Abbiamo visto come in passato la dirigenza gestisse programmazione
e controllo. Gli alti gradi decidevano il da farsi, i
gradi intermedi elaboravano le modalità e tutti gli altri facevano
quello che gli veniva detto. Un modello che naturalmente
presupponeva che gli alti dirigenti sapessero esattamente cosa
decidere, che gli ordini avessero il tempo di essere trasmessi
verso il basso e che, come un buon esercito, i ranghi inferiori
obbedissero.
Anche se fossimo ancora disposti a sopportarlo, questo tipo
di gestione manageriale ha però smesso di funzionare.
I mercati cambiano in fretta e le organizzazioni devono saper
reagire altrettanto velocemente, quindi chiunque fa parte di
un’azienda deve avere le competenze e il potere di prendere le
decisioni che lo riguardano. Man mano che le organizzazioni si
“orizzontalizzano” le fila dell’autorità cominciano a sfocarsi.
Non è più detto che i top manager abbiano le migliori competenze.
Sul piano del potere è l’informazione a fare la differenza,
non più la grandezza dell’ufficio. Si può puntare solo sul
cambiamento.
La scrittrice e consulente aziendale Rosabeth Moss Kanter
ha riassunto molto bene la situazione: “il tempo che passa tra
una decisione e l’altra è di più di quello che passa tra una sorpresa
e l’altra”. Mentre viene presa una certa decisione, basata
sulle informazioni di cui si dispone, la situazione può cambiare
e quella decisione non essere più valida nelle nuove condizioni.
Un’azienda può anche avere la marcia giusta per risolvere i
problemi del giorno prima. Ma quello che fa la differenza è la
velocità alla quale si è in grado ottenere e valutare le informazioni.
Bisogna assolutamente avere le persone giuste al posto
giusto. Quindi i nuovi manager, a qualunque livello, devono
avere la sicurezza e la capacità di prendere decisioni, oltre ad
essere in grado di promuovere le stesse qualità nei collaboratori.
Devono padroneggiare la conoscenza. È a casi del genere
che il nuovo modello di leadership calza a pennello.
Pensiamo per esempio all’esercito; anche lì, l’apparenza
inganna. In situazioni belliche critiche viene fuori quasi sempre
che i leader che sanno lavorare in gruppo o su progetti sono
le persone più adatte a dirigere le operazioni. Può capitare di
trovarle tra i ranghi più alti, ma non è detto. Più la situazione è
pericolosa più la competenza prevale sul grado. In casi di vita o
di morte chiunque metta il rango al di sopra delle capacità è
perduto. Se invece il rischio è basso, l’autorità formale diventa
il modo più banale di operare. In assenza di rischio, ad esempio
durante un addestramento in tempo di pace, il potere gerarchico
non viene messo in discussione. Così persino l’esercito, con
la sua lunga tradizione e con tutto il suo bagaglio normativo su
disciplina e linee di comando, riconosce che quando si è stretti
nell’angolo, la persona che deve comandare è quella che esprime
le migliori doti per un determinato incarico. Così la
leadership fondata sulla conoscenza scavalca quella radicata nell’autorità
formale.
La metafora militare dell’attacco e della difesa ha ancora
un significato, ma solo in chiave strategica: le parti si superano
in astuzia e si dribblano a vicenda in una battaglia a colpi di
intelligenza piuttosto che di grossi armamentari. “Sopravviva
il più adatto”, una frase che rende l’idea di come le aziende che
si armonizzano all’ambiente possano sopravvivere e prosperare
(anche se forse sarebbe meglio dire: sopravviva chi “sa” essere
il più adatto). Strettamente collegato a questo è il concetto
di co-evoluzione – il mondo degli affari co-evolve, vale a dire
nessuno cresce per conto suo, tutti cambiano e si influenzano a
vicenda in un sistema a rete. Nessuna azienda può trasformarsi
isolatamente – se nel frattempo un mercato si apre, un altro si
contrae e la strategia vincente resta tale solo fin quando la concorrenza
non la adotta a sua volta. Perché appena si registra
questa reazione, essa entra a far parte della situazione di mercato,
e allora bisogna nuovamente cambiare. Reagire a chi reagisce
a noi… Come un camaleonte allo specchio: le aziende
mutano secondo la situazione, e la situazione si modifica in
base alle politiche aziendali.
Rapporti di interdipendenza, parassitismo e simbiosi si generano
nel mondo degli affari non meno che in natura. Parliamo
dei mercati di oggi come di una giungla ma guardando attentamente
vedremo anche deserti e foreste pluviali. Le aziende finiscono
col dipendere da determinati fornitori e i fornitori, allo
stesso tempo, dalle aziende. Ma per tutti il vero stimolo è la concorrenza.
La Microsoft non avrebbe invaso il mercato di Internet
se Netscape non avesse aperto la strada con successo. La cosiddetta
“guerra dei Browser” (ancora una metafora militare) che ne
è seguita, ha portato alla nascita di nuovi software man mano che
Microsoft modificava i propri prodotti per adattarsi ad Internet.
Quindi è la competizione a generare prodotti nuovi e nuovi
modelli di relazione. Nel balletto di nuovi prodotti e mercati
diversi, i concorrenti finiscono involontariamente col cooperare.
È la “cooperazione competitiva”. L’industria informatica ne
è, ovviamente, il caso più eclatante – la cooperazione competitiva
tra i concorrenti stabilisce standard tecnici, fa crescere rapidamente
i mercati e ne crea di nuovi. Attualmente Sun, IBM e
Netscape si sono alleati per sfidare la Microsoft. Chiunque “vinca”,
il gioco andrà avanti.
L’autorità può aiutare ad essere leader, ma una persona che
ha autorità è veramente leader solo se il suo ascendente prescinde
dalla sua posizione. Un buon test di leadership è verificare se,
qualora qualcuno perda improvvisamente la propria autorità formale, gli altri lo seguano ancora. Se è un vero leader, allora si. Se
no – può darsi. Se invece è un capo autoritario, che ha preteso
obbedienza cieca senza tener conto delle persone di cui era alla
guida e di cui era responsabile, allora la risposta è no, se pure non
accade che quelli che furono suoi collaboratori gli si rivoltino
contro in cerca di vendetta per le umiliazioni subite.
L’autorità va a gonfie vele nelle gerarchie riconosciute, come
l’esercito o le forze di polizia. In quel caso le persone si muovono
assieme in virtù di forti valori impliciti che tutti condividono.
Ma quando si cerca di guidare persone che non condividono
obiettivi e valori, l’autorità non basta più. Nel 1998 la
Industrial Society pubblicò un rapporto intitolato Liberare la
leadership. Era un’indagine sull’opinione di 1000 giovani manager
e colletti bianchi. L’81 per cento degli intervistati ammirava
leader che non avevano formali ruoli d’autorità. Come pure
emerse chiaramente che gli intervistati non apprezzavano affatto
i vecchi manager stile comando e controllo. Bensì manager
capaci di trasmettere entusiasmo, affiancare i collaboratori
e valorizzare gli sforzi di ciascuno.
Nessuno gradiva i manager autoritari che ispiravano terrore
e che insistevano perché le cose fossero fatte a modo loro.
Esercitare la pura autorità è come spingere qualcuno da
dietro. Qual è il riflesso immediato di chi è spinto alle spalle?
Opporre resistenza – a meno che non si stia andando comunque
in quella direzione e ci si accorga quindi che la spinta
può aiutare. Quando però non si sa verso cosa si sta andando
e non si è sicuri di volerci andare, la resistenza è perfettamente
comprensibile.
Immaginiamo un gruppo di persone che lavorano insieme
come se fossero le perle di una collana. Ora immaginiamo di
volere che questo insieme di individui separati si muova contemporaneamente
in una certa direzione; e di cercare di ottenere
questo risultato spingendo da dietro la fila. Anche se spingessimo in modo uniforme, qualcuno potrebbe opporre resistenza
e la fila rompersi lasciando chi avanti chi indietro. Per
non correre questo rischio, la dirigenza tradizionale pensa bene
di fare forza anche sui lati. In altre parole, più le persone resistono
alla forza, più ce ne vuole; e più diventa difficile ottenere
i risultati. Ora immaginiamo che la stessa fila di individui
collegati in modo non vincolante venga tirata davanti. Si muoveranno
tutti assieme e ci vorranno ben poche manovre sui
lati per mantenersi in formazione. L’autorità spinge e basta.
La leadership trascina accompagnando ciascuno verso una
visione seducente del futuro.
La differenza tra autorità e leadership è la differenza tra un capo e un
leader:
Un capo ha coscritti, un leader adepti
Un capo ha potere, un leader ascendente
Un capo dipende da una posizione di potere, un leader acquista autorità
dall’essere se stesso
Un capo suscita timore e pretende rispetto, un leader merita rispetto
Un capo dice “io”, un leader “noi”
Un capo addita chi ha sbagliato, un leader mostra cosa è sbagliato
Un capo sa come una cosa è stata fatta, un leader sa come si fa per fare
quella cosa
Un capo fa fare le cose agli altri, un leader fa in modo che gli altri vogliano
fare le cose
Un capo dirige i suoi collaboratori, un leader li ispira
Un capo è obbedito, un leader seguito
E, prima di litigare con un capo, guardati bene le spalle.